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Presenza di testimoni oculari ostili


Un altro motivo per cui non vi fu spazio per miti, leggende o inesattezze nei resoconti che trattavano della vita e degli insegnamenti di Gesù, è che essi cominciarono a circolare durante la vita di persone fortemente ostili al nuovo movimento cristiano. Uno dei principali metodi per determinare la veradicità di un testimone è l’uso del controinterrogatorio; esso viene condotto dalla parte avversa allo scopo di mettere in evidenza l’affidabilità o meno del testimone e per rivelare i suoi possibili preconcetti e pregiudizi.


In un suo scritto, il Giudice Ruffin amplia il principio del controinterrogatorio: “Tutti i processi partono dal presupposto che una certa fiducia spetta alla testimonianza umana, e che questa fiducia cresce e diventa più solida nella misura in cui il testimone viene sottoposto ad un attento ed approfondito controinterrogatorio”.


In merito al valore della presenza di testimoni ostili, quando si applica il principio del controinterrogatorio alla proclamazione della resurrezione, il professore di Diritto John Montgomery scrive: “…questo principio sottolinea la credibilità delle testimonianze relative alla resurrezione di Cristo, perché i testimoni la predicarono anche nelle sinagoghe, cioè proprio di fronte all’opposizione che di certo avrebbe fatto a pezzi la testimonianza dei discepoli se i fatti lo avessero permesso”.


F. F. Bruce, professore di critica ed esegesi biblica all’Università di Manchester, a proposito del valore degli scritti del Nuovo Testamento, dice: “Se vi fosse stata anche una minima tendenza a deviare dai fatti realmente accaduti, la presenza di testimoni ostili avrebbe operato da potente correttivo”.


Coloro che avevano ammazzato Cristo certamente erano pronti a controbattere qualsiasi seguace che avesse voluto aggiungere qualche nuovo miracolo o “gonfiare” lo spessore di qualche evento. Questi nemici senz’altro avrebbero corretto qualsiasi distorsione che si fosse verificata nella testimonianza di ciò che Gesù “fece ed insegnò”
(Atti 1:1).


Il teologo Stan Gundry chiede: “È mai possibile che questi nemici avrebbero permesso la circolazione di false affermazioni su fatti che anche loro conoscevano bene? Il cristanesimo sarebbe stato coperto di ridicolo se, per diffondersi avesse fatto ricorso a storie non vere”.


Gli apostoli, che certamente desideravano onorare il Signore, non sarebbero stati fedeli se avessero attribuito a Lui cose che in realtà non aveva fatto. Inoltre, c’erano centinaia di persone dentro e fuori la chiesa che essendo a conoscenza dei fatti avrebbero esercitato funzioni di verifica e di controllo.


Conferma dell’archeologia


Louis Gottschalk dice che “conformità o accordo con altri fatti storici o scientifici conosciuti è spesso la prova decisiva dell’evidenza, tanto che sia da parte di uno o da più testimoni”.


William Ramsay, uno dei più grandi archeologi di tutti i tempi, fu influenzato dalle teorie tedesche della metà del diciannovesimo secolo. Egli era fermamente convinto che il libro degli Atti fosse stato scritto intorno alla metà del secondo secolo d.C. e che quindi fosse inattendibile. Più tardi condusse studi topografici sull’Asia Minore che lo obbligarono a riconsiderare gli scritti di Luca. In conseguenza della grande quantità di documenti scoperti nelle sue ricerche, fu costretto a cambiare radicalmente idea circa la data e la credibilità storica degli Atti.
Quanto alle capacità di Luca come storico, Ramsay concluse, dopo circa trenta anni di studio, che “Luca è uno storico di prim’ordine; le sue affermazioni sono attendibili …. quest’autore dovrebbe essere considerato tra i più grandi storici”. Per la precisione dei più piccoli dettagli, Ramsay alla fine riconobbe che gli Atti non possono essere un documento del secondo secolo d.C., ma piuttosto della metà del primo secolo. Ed aggiunge: “Per quanto riguarda la sua attendibilità, la storia presentata da Luca è insuperata”.


Per un certo periodo Luca fu considerato dai modernisti “impreciso”, perché riferendosi ai governanti di Filippi li definì “pretori”. Secondo gli studiosi, erano due uomini, i “duoviri”, a governare la città. Invece, come al solito, Luca aveva ragione. Recenti scoperte hanno dimostrato che i magistrati di una colonia romana erano chiamati a Filippi “pretori”…


Anche il fatto che Luca abbia scelto la parola “proconsole” come titolo per Gallio si è mostrato corretto, come è assicurato dall’iscrizione frammentaria di Delfi che afferma: “Come Gallio, mio amico, proconsole dell’Acaia…”.


L’iscrizione di Delfi (52 d.C.) stabilisce il periodo dell’attività di Paolo a Corinto, che durò circa un anno, o forse un anno e mezzo. Ciò lo deduciamo dal fatto, riportato in altre fonti, che Gallio si insediò il 1. luglio e che il suo proconsolato durò soltanto un anno, quello stesso anno in cui Paolo operò a Corinto.


Luca dà a Publio, il titolo di “proto”, primo uomo dell’isola di Malta. Sono state riportate alla luce anche iscrizioni che gli attribuiscono questo titolo.


Un’altra prova dell’attendibilità di Luca ci viene data dall’uso che egli fa del termine “magistrati” (politarchi) per designare le autorità civili di Tessalonica.


Poiché la parola “politarco” non è reperibile nella letteratura greca classica, i critici diedero per scontato che Luca fosse in errore. In seguito, però, sono state trovate circa diciannove iscrizioni che fanno uso di questo titolo; inoltre è interessante notare che ben cinque di esse si riferiscono ai governanti di Tessalonica.


Inizialmente molti archeologi dubitarono dell’affermazione di Luca secondo cui Listra e Derba si trovavano nella Licaonia a differenza di Iconio. La loro convinzione si fondava su scritti romani come quelli di Cicerone, che indicavano che Iconio si trovava in Licaonia: per molti archeologi questa era la prova dell’inattendibilità del libro degli Atti.


William Ramsey, però, trovò un monumento che mostrava che Iconio era una città della Frigia ed altre successive scoperte lo hanno confermato.


Tra gli altri riferimenti storici di Luca, c’è quello di “Lisania, il Tetrarca di Abilene” all’inizio della missione di Giovanni Battista, nel 27 d.C. L’unico Lisania conosciuto dagli storici antichi era quello che venne ucciso nel 36 a.C.; anche questa convinzione venne usata per screditare Luca. Più tardi, però, fu trovata un’iscrizione nei pressi di Damasco datata tra il 14 e 29 d.C. che parla di un “Lisania il Tetrarca”.


Non c’è da meravigliarsi che E. M. Blaiklock, professore di Lettere Classiche all’Università di Auckland, concluda: “Luca è uno storico eccellente che merita di essere collocato accanto ai massimi scrittori greci”.


Un ritratto accurato


F. F. Bruce nota: “Dove Luca è stato sospettato di imprecisione, i reperti epigrafici hanno invece dimostrato la sua accuratezza; pertanto è legittimo affermare che l’archeologia ha confermato quanto è riportato nel Nuovo Testamento”.


E ancora: “Un uomo, la cui precisione è dimostrabile su cose che possiamo controllare, probabilmente è preciso anche nelle cose che non siamo ancora in grado di verificare. Essere accurati è usanza abituale, e noi sappiamo, da belle (o brutte) esperienze, che alcuni sono precisi, mentre altri non lo sono affatto; Luca può essere senz’altro considerato come uno degli appartenenti alla prima categoria”.


Si può dunque concludere che il Nuovo Testamento offre un preciso ritratto di Gesù Cristo che non può essere disfatto facendo ricorso a preconcetti, a manipolazioni storiche, o a raggiri letterari.

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