6. Fatte e non favole
Un’altra cosa che mi fece aprire gli occhi fu l’osservazione che i seguaci di Cristo conoscevano bene la differenza tra fatti e favole, tra realtà e fantasia. Per anni avevo sentito dire che al tempo di Gesù la gente era pronta a credere a qualsiasi mito. Il critico Rudolph Bultman ha avanzato l’ipotesi che i contemporanei di Cristo fossero creduloni e semplicioni. Un’attenta ricerca rivela, invece, che si è molto esagerato sulla presunta ingenuità degli uomini del primo secolo.
L’apostolo Pietro scrisse: “Infatti quando vi abbiamo parlato della potenza del nostro Signore Gesù Cristo e del suo ritorno noi non siamo andati dietro a favole inventate. Vi abbiamo parlato, invece, di fatti di cui siamo testimoni, perché io stesso, con questi occhi, ho visto lo splendore e la gloria di Cristo”
(2 Pietro 1:16). Inoltre, l’apostolo Paolo ammonì i suoi lettori a non credere o prestare attenzione a favole e miti.
Anche se nel I secolo d. C. la gente non aveva una vasta conoscenza dell’universo e delle leggi della natura come quella a disposizione dell’uomo moderno, sapeva che un cieco normalemente non può recuperare la vista; ed è per questo che tutti rimasero meravigliati quando Gesù ne guarì uno: “Da che mondo è mondo nessuno ha mai dato la vista ad un uomo cieco fin dalla nascita!”
(Giovanni 9:32).
Si sapeva anche che i morti rimangono tali. Il discorso di Paolo all’Areopàgo, il tribunale di Atene, indica che la resurrezione era difficile da accettare per le persone del mondo antico, così come lo è per noi oggi.
Anche Tommaso voleva prove concrete. Per credere, chiese di vedere i fori dei chiodi nelle mani del Maestro e di mettere il proprio dito nella ferita del Suo costato. Gesù gli concesse questa opportunità: “Metti pure il dito nelle mie mani e la tua mano nel mio fianco. Non essere più incredulo, ma credi!” (Giovanni 20:27). Fu allora che Tommaso lo riconobbe come proprio Signore e Dio!