La nuova vita di Nicola Legrottaglie

“Sono Nicola: ho incontrato Gesù, leggo la Bibbia” “Faccio parte degli Atleti di Cristo, come Kakà e Lucio. Frequento la chiesa evangelica e una comunità di Beinasco”
Il cambiamento – Ho passato molte notti in discoteca. Se stavo dieci giorni senza una donna battevo la testa contro il muro. Adesso posso tranquillamente farne a meno: so che la persona giusta arriverà

Nicola Legrottaglie è davvero quello che sembra, o che sembrava?

«Le meches bionde, l´aria da fighettino, la fama di tiratardi e di donnaiolo?».
Quello.
«Credo che qualcosa sia cambiato, rispetto a tre anni fa».
E cosa?
«Qualcosa di vero c´era: ho sbagliato a curare troppo l´esteriorità e a non mostrarmi per quello che sono veramente. Per fortuna me ne sono accorto in tempo. E nel gennaio del 2006 ho avuto l´incontro che mi ha cambiato la vita».
Chi ha incontrato?
«Una persona molto speciale. Si chiama Gesù».
Ha scoperto la vocazione, vuol dire?
«Ho avuto un´educazione religiosa, ma quel che sapevo l´avevo imparato al catechismo, avevo un´istruzione dogmatica. Ora la mia esperienza spirituale è diversa, più profonda. Vivo seguendo la parola di Dio e gli insegnamenti della Bibbia. Ho capito, finalmente».
Chi le è indicato la strada?
«Stavo a Siena e a gennaio arrivò un ragazzo dal Crotone: Tomas Guzman. Un giorno bussò alla mia schiena e mi disse: Nicola, perché non credi? È stato lì che ho aperto gli occhi e ho cominciato questo bellissimo cammino».
Come testimonia la sua fede?

«Con la preghiera, con la lettura della Bibbia e con comportamenti coerenti. Qualsiasi cosa faccia, mi chiedo cosa farebbe Gesù al posto mio. È chiaro che sono un uomo e quindi è nella mia natura sbagliare, però so cosa è giusto e cosa no. Prima ero rancoroso, adesso perdono. E vivo meglio».
Riesce ancora a riconoscere il Legrottaglie di qualche anno fa?
«Riconosco il cambiamento e rivedo un tipo appariscente, superficiale. Le mie prospettive sono cambiate: se prima potevo essere contento di giocare bene qualche partita, ora la vittoria è seguire la parola di Gesù, e poterne parlare».
E ne parla?
«Certo, l´evangelizzazione è una delle mie missioni. Faccio parte degli Atleti di Cristo, sono il primo italiano a essere entrato in questo gruppo. E poi frequento la chiesa evangelica di via Spalato e un´altra comunità di Beinasco. All´inizio erano stupiti di vedere un calciatore tra di loro, ma adesso soltanto Nicola. Anzi, fratello Nicola: tra di noi ci chiamiamo così».
Non l´abbiamo mai vista fare il segno della croce in campo, come molti colleghi: come mai?
«Perché essendo protestante protesto contro tutte le cose rituali. Quelli sono gesti che possono essere scambiati per scaramanzia, il mio rapporto con il Signore è personale. In pubblico contano i comportamenti, le parole, la condivisione di quello in cui credo, l´osservazione dei dieci comandamenti, il tentativo di non peccare e anche di non fare cose contrarie a questa morale».
Tipo?
«Andare in discoteca e ubriacarsi, per esempio».
E il donnaiolo Legrottaglie dov´è finito?
«Non c´è più. Ne ho fatte di notti al Toqueville, all´Hollywood. Se stavo dieci giorni senza una donna battevo la testa contro il muro, mentre adesso sono serenissimo anche senza, perché so che la persona giusta arriverà e quando la incontrerò sarà ancora più bello».
Le piace molto parlare della sua fede?
«Sì, perché voglio condividerla e trasmetterla. Mi basta mettere il dubbio a chi mi ascolta, non pretendo molto di più. Ma credo che mi impegnerò sembra di più per diffondere la parola di Cristo».
Potrebbe diventare un´occupazione a tempo pieno, quando smetterà con il calcio?
«Non lo escludo. Quando ero bambino, nelle mie ingenue preghiere dicevo a Dio che, se mi avesse fatto arrivare in serie A, in cambio sarei diventato missionario. Lui la sua parte l´ha fatta, ora tocca a me».
Farebbe anche il missionario di frontiera, magari in Africa?
«Perché no? Andrò dove Gesù vorrà, sarà lui a indicarmi la strada».
Mai nessuna le ha chiesto se si è bevuto il cervello?
«No, anche se qualche presa in giro l´ho dovuta incassare. Ricordo, per esempio, quando mi feci male alla spalla, a Napoli. In altri tempi l´avrei presa come una disgrazia: tornavo a giocare dopo molto tempo e subito mi capitava un guaio, ma già lì, per terra sul campo, pensavo che avrei superato la prova che Gesù mi aveva proposto. Però i miei amici mi dissero: visto cosa ti fa, il tuo Dio? E adesso che sto bene, che gioco bene, mi chiedono se continuo a essere convinto che sia merito di Dio. Certo che lo sono. Non avrei questa serenità, altrimenti».
Ricorda quando disse: Dio è con Legrottaglie?
«Certo, le avevamo prese dal Deportivo e io ero stato criticato per la marcatura di Valeron. All´epoca avevo ancora un piede di qua e uno di là e mi uscì quella frase presuntuosa. Oggi direi semplicemente: mi spiace, ho sbagliato».
Perché non parla più in terza persona?
«Quando lo facevo non me ne accorgevo. Era ignoranza, più, che altro, non mi rendevo conto che veniva scambiata per altezzosità».
Come si concilia la sua spiritualità con un mondo così superficiale come quello del calcio?
«Il materialismo è inevitabile quando circolano tanti soldi, gli uomini ne sono attratti. Ma per fortuna non sono solo. Anche Kakà è un Atleta di Cristo».
È cambiato anche il rapporto con la sua professione?
«L´idea di guadagnare è passata in secondo piano, ma l´ambizione è anche più forte di prima: la mia serenità mi aiuta e fare bene il mio lavoro è importante. Non sono un campione, ma so che posso tornare a essere quello che ero prima: un giocatore che ha meritato la nazionale e poi la Juventus, che può ritenersi degno di stare a certi livelli».
Se le dessero del fanatico, cosa risponderebbe?
«Prima ero schiavo dei desideri più banali. Ma adesso mi sono liberato e il mio desiderio più grande è che qualcuno mi segua».

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